Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 

 

   
   


 
SALVO ANDO': «QUESTA LA VIA PERCORRIBILE PER UNA AUTONOMIA REALE»
Sicilia laboratorio di un bipolarismo mite per riscrivere uno Statuto governante
Salvo Andò
 

Spesso si parla della Sicilia politica come di un laboratorio vocato a sperimentare soluzioni politiche destinate prima o poi a transitare nello scenario politico nazionale. Si tratta di una rappresentazione delle cose in verità quasi mai suffragata dai fatti, se si esclude forse la vicenda della nascita del centrosinistra siciliano, negli Anni '60. Ma quella anticipazione era figlia di un evento davvero traumatico come il milazzismo. Allora il Paese guardò alla Sicilia e a quel governo anomalo con straordinario interesse. Si trattava di dare un colpo mortale insie­me alla politica centrista e a Fanfani che era l'uomo forte della Dc.

Non pare che vi siano state altre sperimentazioni destinate a fare precedente nella vita politica del Paese. Tenuto conto di ciò, la situazione che si è venuta a creare adesso in Sicilia, con un governo regionale eletto dal popolo e che ha visto in corso d'opera mutare la base parlamentare che lo sostiene - più di quanto non si evinca dalle dichiarazioni ufficiali emergere perché i malpancisti reali sono di più di quelli dichiarati - può rappresenta­re un'occasione interessante per fare emergere possibili attitudini del bipolarismo siciliano che non sono emerse a livello nazionale. Il bipolarismo che abbiamo conosciuto finora si è segnalato per il suo carattere prevalentemente primitivo. Così è stato interpretato dai leader e così è stato vissuto dal Paese. Si è trattato di una vera e propria sfida all'ultimo sangue, vissuta attraverso la criminalizzazione dell'avversario politico presentato come nemico da distruggere. Da un lato ci sono i figli ed i nipoti dei comunisti ed i loro accoliti in agguato contro la libertà (così li descrivono quelli del centrodestra), dall'altro mediocri classi dirigenti al servizio di un capo/padrone del partito, delegittimato dal conflitto di interesse e, da qualche mese, anche da altre questioni private (così rappresentano le cose quelli del centrosinisrra). Un bipolarismo, quindi, che non concede tregua a chi governa e che conculca i diritti dell'opposizione, senza regole se non quella del chi vince prende tutto. Sia il centrosinistra che il centrodestra, infatti, a colpi di maggioranza - gli uni nel 2001, gli altri nel 2005 - si sono gestiti anche le riforme istituzionali.

La situazione venutasi a creare in Sicilia, con la formazione di un governo non sostenuto da tutti i partiti dell'originario cartello elettorale, porrebbe forse consentire di sperimentare un bipolarismo mite, sia pure per stato di necessità. Intendiamoci, qui non si auspica nessuna prospettiva di intese sottobanco. Queste peraltro non sarebbero una novità, perché di questo tipo di intese tra governo ed opposizione all'Ars ce ne sono sempre state; ed esse hanno incontrato anche l'approvazione di certa opinione pubblica. Il bipolarismo mite che si auspica dovrebbe essere un bipolarismo fatto di conventions negoziate tra i due schieramenti,  tendenti a realizzare forme di riconoscimento reciproco, fermo restando che essi continueranno ad essere alternativi l’uno all’altro e però si candidano in un momento difficile come quello che viviamo ad operare scelte utili per la Sicilia, a cominciare dalla riscrittura dello Statuto.

Un nuovo Statuto, se vuole essere efficace non per le roboanti affermazioni di principio che contiene ma per gli strumenti di governo grazie ai quali favorisce l’espandersi della cultura dell’autonomia nelle istituzioni e nella società, non può non essere uno Statuto condiviso. Si tratta di garantire, attraverso presìdi che rendano trasparente il governo dell’alternanza, quel tipo di riconoscimento reciproco del ruolo di maggioranza e di opposizione che costituisce l’essenza di un bipolarismo ben funzionante.

Oggi a Palermo, più che a Roma, si sono create le condizioni perché ciò avvenga, proprio perché non c’è al vertice dell’esecutivo regionale un leader che si possa identificare come «padrone» della coalizione. Una seria riforma dello Statuto, che in queste condizioni può contare sul sostegno a Roma sia del Pdl che del Pd, può insomma rappresentare davvero una conquista bipartisan.

Si tratta di introdurre nello Statuto, che allo stato contiene solo un complesso di principi organizzatori non disciplinati peraltro nel dettaglio, alcune regole destinate a favorire appunto un nuovo tipo di bipolarismo. È questo peraltro il modo più serio di affrontare la «questione democratica» che è insieme questio­ne nazionale e locale, perché legata al modo d'essere dei partiti, ad una autoreferenzialità di essi che nel corso degli anni è via via cresciuta. Il federalismo di per sé non può risolvere tale que­stione. Una concezione proprietaria dei partiti non viene scalfita dal fatto che molte funzioni vengano trasferite dal centro al­la periferia. Il problema è quello - nel momento in cui enormi po­teri si concentrano nelle mani dell'esecutivo - di prevedere efficaci meccanismi di riequilibrio, tali da garantire una democrazia parlamentare che promuova la cultura della partecipazione ad ogni livello. Questo problema non può essere considerato un «affare» dei partiti perché riguarda la società nel suo complesso, essendo essa pesantemente coinvolta nei processi di degrado della politica. Abbiamo bisogno del governo decisionista, così co­me abbiamo bisogno di una opposizione forte e di una società esigente nel rapporto con la politica. Il federalismo produrrà i risultati sperati se sarà federalismo politico, che incida sul modo

di essere dei partiti, ma al tempo stesso fa­vorisca una riorganizzazione dei poteri sociali a livello regionale (livelli finora strutturati su di un livello nazionale e provinciale).

Lo Statuto sarà una vera Costituzione, sia pure dell'Autonomia, se riuscirà a ga­rantire il ruolo dell'opposizione e prevedere validi strumenti di democrazia diretta.

Un'opposizione responsabile    per essere tenuta in conto non ha bisogno di condividere spoglie, ma di conseguire spazi adeguati per fare valere il proprio punto di vista. Gli istituti di democrazia diretta non servono poi per attenuare il valore pratico del principio di maggioranza,  ma per diffondere abitudini democratiche anche attraverso procedure confermative che coinvolgano il corpo elettorale, soprattutto in materia di scelte che hanno oggettiva rilevanza costituzionale.

Ed infine nello Statuto si potrebbero  prevedere meccanismi di coinvolgimento dell'opposizione, attraverso maggioranze qua­lificate, quando si tratta di gestire vertenze con lo Stato che afferiscono alle procedure di valutazione da cui dipendono il trasferimento di risorse o interventi di carattere straordinario finalizzati a garantire l'unità economica del Paese.

Il federalismo è un processo tutt'altro che lineare. Esso si basa su meccanismi di controllo che riguardano lo spending power. Ma a monte di tali controlli, una volta venuto meno il criterio della spesa storica, vi è la determinazione di criteri e la lettura di dati oggettivi che dovrebbero portare a stabilire la spesa standard. Si tratta di valutazioni rispetto alle quali la Regione non può non avere un ruolo; un ruolo che coinvolga non solo il governo regionale ma anche l'Assemblea.

Il nuovo Statuto va riscritto con questo spirito. Non deve essere quindi né uno Statuto nostalgico volto a ripristinare i presidi dell'autonomia «derogatoria» perduti, né uno Statuto irrilevante in tema di diritti di cittadinanza perché privo dei principi che riguardano i diritti ed i doveri dei siciliani. Deve essere uno Statuto nuovo. Uno Statuto che, a differenza del vecchio che ha prodotto, anche perché inattuato, una autonomia soprattutto gridata, possa regolare una autonomia realmente governante.


(La Sicilia, 27/08/2009)

 
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