Spesso si parla della Sicilia politica
come di un laboratorio vocato a sperimentare soluzioni
politiche destinate prima o poi a transitare nello scenario
politico nazionale. Si tratta di una rappresentazione delle
cose in verità quasi mai suffragata dai fatti, se si
esclude forse la vicenda della nascita del centrosinistra
siciliano, negli Anni '60. Ma quella anticipazione era
figlia di un evento davvero traumatico come il milazzismo.
Allora il Paese guardò alla Sicilia e a quel governo
anomalo con straordinario interesse. Si trattava di dare un
colpo mortale insieme alla politica centrista e a Fanfani
che era l'uomo forte della Dc.
Non pare che vi siano state altre
sperimentazioni destinate a fare precedente nella vita
politica del Paese. Tenuto conto di ciò, la situazione che
si è venuta a creare adesso in Sicilia, con un governo
regionale eletto dal popolo e che ha visto in corso d'opera
mutare la base parlamentare che lo sostiene - più di quanto
non si evinca dalle dichiarazioni ufficiali emergere perché
i malpancisti reali sono di più di quelli dichiarati - può
rappresentare un'occasione interessante per fare emergere
possibili attitudini del bipolarismo siciliano che non sono
emerse a livello nazionale. Il bipolarismo che abbiamo
conosciuto finora si è segnalato per il suo carattere
prevalentemente primitivo. Così è stato interpretato dai
leader e così è stato vissuto dal Paese. Si è trattato di
una vera e propria sfida all'ultimo sangue, vissuta
attraverso la criminalizzazione dell'avversario politico
presentato come nemico da distruggere. Da un lato ci sono i
figli ed i nipoti dei comunisti ed i loro accoliti in
agguato contro la libertà (così li descrivono quelli del
centrodestra), dall'altro mediocri classi dirigenti al
servizio di un capo/padrone del partito, delegittimato dal
conflitto di interesse e, da qualche mese, anche da altre
questioni private (così rappresentano le cose quelli del centrosinisrra). Un bipolarismo, quindi, che non concede
tregua a chi governa e che conculca i diritti
dell'opposizione, senza regole se non quella del chi vince
prende tutto. Sia il centrosinistra che il centrodestra,
infatti, a colpi di maggioranza - gli uni nel 2001, gli
altri nel 2005 - si sono gestiti anche le riforme
istituzionali.
La situazione venutasi a creare in
Sicilia, con la formazione di un governo non sostenuto da
tutti i partiti dell'originario cartello elettorale,
porrebbe forse consentire di sperimentare un bipolarismo
mite, sia pure per stato di necessità. Intendiamoci, qui
non si auspica nessuna prospettiva di intese sottobanco.
Queste peraltro non sarebbero una novità, perché di questo
tipo di intese tra governo ed opposizione all'Ars ce ne sono
sempre state; ed esse hanno incontrato anche l'approvazione
di certa opinione pubblica. Il bipolarismo mite che si
auspica dovrebbe essere un bipolarismo fatto di conventions
negoziate tra i due schieramenti,
tendenti a realizzare
forme di riconoscimento reciproco, fermo restando che essi
continueranno ad essere alternativi l’uno all’altro e però
si candidano in un momento difficile come quello che viviamo
ad operare scelte utili per la Sicilia, a cominciare dalla
riscrittura dello Statuto.
Un nuovo Statuto, se vuole essere
efficace non per le roboanti affermazioni di principio che
contiene ma per gli strumenti di governo grazie ai quali
favorisce l’espandersi della cultura dell’autonomia nelle
istituzioni e nella società, non può non essere uno Statuto
condiviso. Si tratta di garantire, attraverso presìdi che
rendano trasparente il governo dell’alternanza, quel tipo di
riconoscimento reciproco del ruolo di maggioranza e di
opposizione che costituisce l’essenza di un bipolarismo ben
funzionante.
Oggi a Palermo, più che a Roma, si sono
create le condizioni perché ciò avvenga, proprio perché non
c’è al vertice dell’esecutivo regionale un leader che si
possa identificare come «padrone» della coalizione. Una
seria riforma dello Statuto, che in queste condizioni può
contare sul sostegno a Roma sia del Pdl che del Pd, può
insomma rappresentare davvero una conquista bipartisan.
Si tratta di introdurre nello Statuto,
che allo stato contiene solo un complesso di principi
organizzatori non disciplinati peraltro nel dettaglio,
alcune regole destinate a favorire appunto un nuovo tipo di
bipolarismo. È questo peraltro il modo più serio di
affrontare la «questione democratica» che è insieme
questione nazionale e locale, perché legata al modo
d'essere dei partiti, ad una autoreferenzialità di essi che
nel corso degli anni è via via cresciuta. Il federalismo di
per sé non può risolvere tale questione. Una concezione
proprietaria dei partiti non viene scalfita dal fatto che
molte funzioni vengano trasferite dal centro alla
periferia. Il problema è quello - nel momento in cui enormi
poteri si concentrano nelle mani dell'esecutivo - di
prevedere efficaci meccanismi di riequilibrio, tali da
garantire una democrazia parlamentare che promuova la
cultura della partecipazione ad ogni livello. Questo
problema non può essere considerato un «affare» dei partiti
perché riguarda la società nel suo complesso, essendo essa
pesantemente coinvolta nei processi di degrado della
politica. Abbiamo bisogno del governo decisionista, così
come abbiamo bisogno di una opposizione forte e di una
società esigente nel rapporto con la politica. Il
federalismo produrrà i risultati sperati se sarà
federalismo politico, che incida sul modo
di essere dei partiti, ma al tempo
stesso favorisca una riorganizzazione dei poteri sociali a
livello regionale (livelli finora strutturati su di un
livello nazionale e provinciale).
Lo Statuto sarà una vera Costituzione,
sia pure dell'Autonomia, se riuscirà a garantire il ruolo
dell'opposizione e prevedere validi strumenti di democrazia
diretta.
Un'opposizione responsabile
per essere
tenuta in conto non ha bisogno di condividere spoglie, ma di
conseguire spazi adeguati per fare valere il proprio punto
di vista. Gli istituti di democrazia diretta non servono
poi per attenuare il valore pratico del principio di
maggioranza, ma
per diffondere abitudini democratiche anche attraverso
procedure confermative che coinvolgano il corpo elettorale,
soprattutto in materia di scelte che hanno oggettiva
rilevanza costituzionale.
Ed infine nello Statuto si potrebbero
prevedere meccanismi
di coinvolgimento dell'opposizione, attraverso maggioranze
qualificate, quando si tratta di gestire vertenze con lo
Stato che afferiscono alle procedure di valutazione da cui
dipendono il trasferimento di risorse o interventi di
carattere straordinario finalizzati a garantire l'unità
economica del Paese.
Il federalismo è un processo tutt'altro
che lineare. Esso si basa su meccanismi di controllo che
riguardano lo spending power. Ma a monte di tali controlli,
una volta venuto meno il criterio della spesa storica, vi è
la determinazione di criteri e la lettura di dati oggettivi
che dovrebbero portare a stabilire la spesa standard. Si
tratta di valutazioni rispetto alle quali la Regione non può
non avere un ruolo; un ruolo che coinvolga non solo il
governo regionale ma anche l'Assemblea.
Il nuovo Statuto va riscritto con questo spirito. Non deve essere quindi
né uno Statuto nostalgico volto a ripristinare i presidi
dell'autonomia «derogatoria» perduti, né uno Statuto
irrilevante in tema di diritti di cittadinanza perché privo
dei principi che riguardano i diritti ed i doveri dei
siciliani. Deve essere uno Statuto nuovo. Uno Statuto che, a
differenza del vecchio che ha prodotto, anche perché
inattuato, una autonomia soprattutto gridata, possa regolare
una autonomia realmente governante. |