Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

L'ex direttore generale di
Al Jazeera indica le nuove frontiere dell'informazione

    

La conoscenza diffusa di ProPublica
e le iniziative della fondazione Ahref

 

I professori al governo avevano da subito chiarito - ad un Paese per anni abbagliato dai miti di un successo presentato come facile, a portata di mano, da una irresponsabile politica dell'ottimismo fondata sul nulla - che l'Italia era ormai ad un passo dal default, che occorrevano sacrifici condivisi. E il Paese ha risposto positivamente a queste sollecitazioni, accettando sacrifici pesantissimi; basti pensare alla riforma delle pensioni, che prevede tra l'altro l'innalzamento dell'età pensionabile, da sempre un muro,questo, contro cui avevano cozzato tutti i governi. Ma contestualmente l'esecutivo si era impegnato a coniugare la politica del rigore per il contenimento della spesa pubblica con misure volte a promuovere la crescita.

La spesa pubblica, però, non pare sotto controllo e di giustizia distributiva se ne è avuta poca. Sono stati colpiti gli interessi più facilmente aggredibili. Si sono avuti soltanto tagli e tasse. Non si capisce ancora quale sia il modello di sviluppo a cui il governo guarda, al di là delle misure dell'emergenza. Da questo punto di vista, pare emblematica l'ultima campagna promossa dal governo, quella dello spending review. Rivedere i criteri di spesa può significare tanto o può significare nulla. Ci si può limitare a mettere a punto un piano di tagli generalizzati o, invece, andare nella direzione di una coraggiosa redistribuzione della spesa pubblica, che sia l'antefatto in primo luogo di una seria riforma della pubblica amministrazione. Si tratta di compiere precise scelte politiche, non di fare quadrare comunque i conti dell'azienda Stato, come se si trattasse di una qualunque azienda privata dissestata (non è in questo senso un buon segnale il fatto che si ricorra a specialisti di salvataggi aziendali).

Allo stato, la gente ha capito che si vuole spendere di meno, più che spendere meglio. Lo spending review non comporta tagli comunque. Anzi. Nel Regno Unito si è realizzata un'importante ridislocazione della spesa pubblica, individuando pochi obbiettivi strategici per lo sviluppo e indirizzando verso di essi le risorse acquisite attraverso i tagli; si sta puntando in primo luogo sulle politiche educative, cioè sulla formazione di un capitale umano di qualità. In Italia, stando ai si dice, pare, invece, che la scuola dovrebbe essere ulteriormente penalizzata.

Il timore è che si possa procedere per tagli orizzontali,senza distinguere tra spesa pubblica improduttiva, e spesa destinata a garantire fondamentali diritti di cittadinanza. Il paese oggi è allo stremo, anche perché le politiche del rigore non hanno distribuito i sacrifici secondo criteri di reale progressività, tenuto conto dei redditi. Ogni giorno leggiamo di persone che compiono gesti estremi perché non hanno di che vivere, o perché la loro azienda è sopraffatta dalle tasse.
In proposito è giusto ricordare l'insegnamento di don Milani: non c'è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali.
La giustizia sociale non può essere affidata alla legge del mercato. E a poco vale la regolarità dei conti pubblici, se poi "un eccesso di liberismo devasta il mondo del lavoro e minaccia la coesione sociale", come ha dichiarato il cardinale Bagnasco in occasione del 1° maggio.

Si è affermata negli anni passati l'idea che solo la finanza possa giudicare la politica. Ci si è abituati a considerare la politica un affare riservato ai ricchi o comunque un'attività sempre più schierata dalla parte dei ricchi. E' questa l'opinione che della politica hanno i giovani, nel nord e nel sud del mondo, gli indignados delle rivolte svoltesi in Europa, i ragazzi di "Occupy Wall Street", i ragazzi della primavera araba. Essi protestano soprattutto contro i banchieri.
Insomma, il mondo si sta risvegliando da un lungo sonno, prodotto dal pensiero unico mercatista. Soprattutto i popoli europei, paiono intenzionati a riappropriarsi di un patrimonio culturale fatto di valori e conquiste sociali ottenute dal mondo del lavoro, che hanno cambiato la storia europea del secolo scorso.
 

La Sicilia del 03/05/2012

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