Pare che, finalmente,
la maggioranza che sostiene il Governo Monti sul tema della
legge elettorale voglia fare sul serio. Circola, già da
qualche giorno, una bozza contenente le linee generali della
nuova legge, concordata tra i segretari dei partiti. L’iter
parlamentare, considerate anche le raccomandazioni venute
dal Presidente della Repubblica, dovrebbe risultare
abbastanza celere. I precedenti, tuttavia, inducono alla
prudenza. Basti pensare al nulla di fatto a cui è approdata,
quando si pensava che tutto fosse già deciso, la Commissione
bicamerale presieduta da D’Alema. Anche stavolta qualche
partito potrebbe essere tentato di fare saltare il tavolo
delle riforme, per mettere in difficoltà il governo tecnico
e determinare così la fine della legislatura. Si
tratterebbe, tuttavia, di un atto irresponsabile, che
spingerebbe i partiti verso un vicolo cieco.
Se ciò dovesse
accadere, si verrebbe a creare una situazione politica
ancora più difficile di quella verificatasi all’inizio degli
anni 90.
Anche allora ci si
trovava di fronte ad una classe politica pesantemente
delegittimata. Le riforme istituzionali certamente avrebbero
favorito il rinnovamento dei partiti, venendo incontro ad
una domanda di cambiamento che era molto forte nel paese.
Una maggioranza di governo frantumata al proprio interno ed
un governo che veniva battuto sistematicamente in Parlamento
non furono in grado di interpretare l'insofferenza del
paese, e di capire che una slavina stava per travolgere
l'intero sistema politico. Le riforme non si fecero anche
perché si pensava, soprattutto all'interno della Dc, che le
inchieste giudiziarie ed il dissesto istituzionale avrebbero
distrutto questo o quel partito, questo o quel leader, e non
tutto il sistema dei partiti. Soprattutto le opposizioni
ritennero di poter trarre vantaggio da questo stato di cose.
Oggi la crisi dei
partiti appare meno eclatante, in conseguenza della tregua
politica intervenuta grazie alla formazione del governo
tecnico, che ha potuto contare sull'incondizionato sostegno
del Presidente della Repubblica. Alcuni provvedimenti del
governo sono potuti passare in Parlamento per la paziente
opera di mediazione svolta da Napolitano, che ha saputo
compattare la maggioranza in Parlamento tutte le volte in
cui questa rischiava di sfasciarsi.
Ebbene, in questo
contesto, i provvedimenti necessari per il risanamento
democratico devono ritenersi non meno necessari ed urgenti
di quelli che riguardano il risanamento economico.
Sappiamo chi non vuole
le riforme. Non le vogliono le opposizioni, soprattutto i
partiti di Di Pietro e Vendola, ma non li vogliono neppure
alcuni settori della maggioranza. Tutti auspicano a parole
una legge meno indecente del “porcellum”, ma quando si entra
nel merito della nuova legge elettorale, si sollevano
eccezioni e cavilli, quasi irrisolvibili. Lo scopo evidente
è quello di andare a votare alle politiche con l'attuale
legge.
Alcuni malpancisti si
dicono preoccupati per gli scompensi che una nuova legge
elettorale potrebbe provocare sull’assetto bipolare,
presentato come la più grande conquista regalataci dalla
seconda Repubblica. Se il vincolo di coalizione dovesse
allentarsi- si osserva- c'è il rischio che i partiti si
sentano liberi di fare in Parlamento le alleanze che
vogliono, pregiudicando così la stabilità politica.
In verità, durante i
quasi vent'anni di vita della cosiddetta seconda Repubblica,
di stabilità politica se n'è avuta ben poca. Né il
bipolarismo ha ridato alla rappresentanza politica il
prestigio perduto. Anzi. Siamo di fronte ad un degrado della
vita politica che non ha precedenti nella storia della
Repubblica. Se la questione morale ieri costituiva un
macigno sulla strada di un recupero di credibilità del
sistema dei partiti, oggi quel macigno è diventato una
montagna.
Chi difende il
bipolarismo prodotto da una legge elettorale coercitiva -
perché impone ai maggiori partiti di allearsi con
chicchessia pur di incassare il premio di maggioranza-,
difende soprattutto il proprio potere di interdizione; un
potere che è stato utilizzato in modo spregiudicato in
questi anni.
Basti pensare alle
frequenti crisi di governo, che hanno prodotto tra l’altro
legislature brevi e brevissime. Ma non solo. Le alleanze
fatte in stato di necessità, perché imposte dalla legge
elettorale, hanno favorito il trasformismo politico, con una
diffusione del fenomeno nei due schieramenti senza
precedenti, tant’è che il gruppo misto, fatto
prevalentemente da transfughi, è divenuto uno dei gruppi
parlamentari più consistenti.
Chi oggi si erige a
difensore del bipolarismo all'italiana, oggettivamente
difende questo stato di cose.
Una diversa legge
elettorale, invece, che consenta ai partiti di presentarsi
agli elettori con una precisa identità, senza che sia
necessario fare delle alleanze che tengono fino al giorno
del voto e si sfasciano poi il giorno dopo, potrebbe portare
ad una rigenerazione dei partiti, ad un loro migliore
radicamento nel territorio, alla ricostituzione di un “
popolo di riferimento” di ciascun partito che in questi
anni, a causa anche del bipolarismo coatto, si è disperso.
Ridare al popolo la possibilità di eleggere i propri
rappresentanti costituisce una condizione essenziale per una
rivalutazione della rappresentanza politica.
La nuova legge
elettorale, quindi, va approvata presto, magari aprendo
contestualmente il cantiere delle riforme istituzionali, che
richiedono ovviamente tempi di approvazione più lunghi di
quelli che richiede una legge ordinaria.
Se dovessero
registrarsi delle difficoltà esse vanno affrontate e
risolte, potendo anche confidare sull’aiuto del Presidente
Napolitano. Non ci sono strade alternative.
C’è chi pensa di
regolare per legge le primarie, per tenere in vita il
porcellum imponendo ai partiti di scegliere in modo
trasparente i candidati. Ma si tratterebbe di un rimedio del
tutto inefficace, oltre che tecnicamente difficile da
realizzare. Non si risolverebbero così i problemi prodotti
dalla ingovernabilità e dalla crisi della funzione di
rappresentanza. Convocare, poi, centinaia di elezioni
primarie, tante quanti sono i seggi da assegnare,
provocherebbe il caos. Le primarie hanno un senso in un vero
sistema bipolare; e il sistema politico italiano non è tale.
Avremmo dei contenziosi dentro i partiti non risolvibili, se
non per la via giudiziaria. Avremmo insomma un'infinità di
casi Palermo.
Si scelga un modello
elettorale di riferimento, lo si adatti alle tendenze
politiche del paese, di un paese ove prevale il voto
moderato, si evitino i premi di maggioranza se non nel caso
del conseguimento della maggioranza assoluta viste le
pessime prove date dai premi di maggioranza fin qui
sperimentati. Si scelga magari tra premio di maggioranza e
soglia di accesso, considerato che due premi paiono davvero
troppi, e si riconosca un diritto di tribuna ai partiti più
piccoli riservando loro una quota di seggi.
Se dovessero prevalere
coloro i quali vogliono che tutto resti così com’è, i
partiti sarebbero oggetto di una contestazione popolare
molto forte. L’opinione pubblica non potrebbe non prendere
atto del fatto che le decisioni che riguardano il
risanamento dei conti pubblici, con sacrifici connessi,
vengono prese sulla base di una tempistica stabilita dal
governo, mentre le decisioni che riguardano la qualità della
vita democratica, l'efficienza delle istituzioni,
richiedendo il consenso dei partiti, si possono rinviare
sine die.
C'è una tendenza nel
paese all’autorappresentanza politica. Sono ormai frequenti
le mobilitazioni di masse di cittadini che assediano i
palazzi del potere, chiedendo prestazioni o esercitando veti
sulle decisioni che si vanno assumendo. Una buona legge
elettorale, che non sia espressione di una logica
partitocratica, di per sé, non può mettere ordine, da un
giorno all'altro, in un paese che appare politicamente tanto
disordinato. Essa può costituire, tuttavia, un segnale
importante perché si ricrei, intorno alle istituzioni della
rappresentanza politica, un clima di fiducia.
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