Ho seguito con curiosità la passerella
di Cernobbio, inutile e triste kermesse di politici e di
consigliori, di medici a consulto di un malato - l’Italia
nell’Ue e nel bagnasciuga della crisi globale - di cui non
si diagnostica il male e la cura oscilla tra il placebo di
Dulcamara e le pozioni della maga di quartiere. Solo oggetto
di riflessione l’invito del governatore della Banca d’Italia
a guardare al caso tedesco, e la pronunzia di Tremonti che
riafferra la bacchetta del Mago Merlino per bollar di
infantilismo chi voglia suggerire il modello tedesco. Crisi
politica a parte, l’episodio avrebbe solo aggiunto una posta
del geniale rosario che la testa pensante del
berluscon-leghismo disegna e protegge dai ’cinesi’,
contraffattori e ladri di modelli, poco importa se del made
in Italy o del made in France.
Se sottolineo l’episodio, nè perché il
’mio’ Mezzogiorno è da tempo nell’agenda del ministro, e sta
tra i cinque punti della "grande verifica". Che ne sarà del
Sud in questo strano crepuscolo? Ho letto con rassegnazione
le dichiarazioni di Lombardo, governatore della Regione
Sicilia e cofondatore del Partito del Sud, sui fondi Fas e
sui fondi europei promessi (si ripete) e non ancora
trasferiti. Ma - a parte vicende e costi del "federalismo
fiscale" - di quali altre risorse Tremonti può disporre per
il piano Marshall di Berlusconi, e per la "storica",
"epocale" chiusura della questione meridionale, e della
questione mafiosa? Se il "privato" è la cricca, donde
potranno venire le somme consistenti da destinare agli
investimenti pubblici nel ’nuovo’ Mezzogiorno ?
Forse qualcosa di più, gridata o
sussurrata, sapremo nelle prossime settimane. Riavremo le
sfuriate contro le cialtronerie delle Regioni (meridionali),
o i tavoli imbanditi promessi per l’autunno dal ministro
Fitto? Torneremo, con vari trucchi verbali, alla emergenza,
o vedremo l’avvio di un programma (se non di un progetto)
per il Sud? Ed è qui che il riferimento al modello tedesco
torna, e - data la vaguezza retorica delle profezie di
Tremonti - le considerazioni di Draghi riportano a
riflessioni che per qualche tempo ho provato a sottoporre ai
lettori di questo giornale, e che sono tornate (grazie a
Draghi e alla Ue) di piena attualità.
Pochi mesi dopo la caduta del muro,
nell’estate 1990, in Germania per ricerca, decidemmo di fare
una corsa a Berlino, e di là fino a Dresda e Lipsia.
L’impatto non poteva non esser drammatico, e tale lo
confermarono quei colleghi di Germania che mi chiesero di
aiutare il reclutamento di docenti italiani ed europei che
(con compensi generosi) potevano contribuire alla
"resurrezione" delle università della Germania est. Non
potei accettare per mia parte l’invito a Lipsia, e temo che
il mio apporto all’impresa importante sia stato modesto.
Eppure i miei rapporti con i centri di studio tedeschi e
quel mondo accademico crebbero fino al 2003 di intensità e
di impegno: in quegli anni potei seguire con passione la
riunificazione della Germania, e ne scrissi anche su "La
Sicilia", condividendo le molte critiche e apprezzando però
la strategia complessiva.
Mi chiedevo soprattutto se il caso
tedesco non potesse riaprire con successo la nostra
questione meridionale, e soprattutto l’incisiva politica
delle infrastrutture, la gradualità degli incrementi
salariali, gli investimenti crescenti nell’alta formazione e
nella ricerca non potessero riproporsi in un tempo che
vedeva la "transizione" dalla Prima alla Seconda Repubblica
segnata da una crescente polemica contro il Sud e l’unità
d’Italia. Non se ne fece nulla: al loro posto dilagò la
retorica mediterranea, alternativa all’anti-europeismo della
Lega, cui - in un orgoglioso discorso dalla Fiera barese –
Miccichè aderì minacciando persino il referendum del
distacco meridionale dall’Europa ! L’acqua passata sotto i
ponti del Sud è diventata ormai limacciosa: fango, cadaveri,
rifiuti, e su tuttiì disoccupazione e inoccupazione. E
nondimeno c’è un nuovo Mezzogiorno che non attende dal
meridionalismo "storico" ricette anacronistiche, e misure da
tempo superate per l’accavallarsi di attese tutte frustrate.
Perché non riaprire allora il vecchio dossier del "modello
tedesco"? Infrastrutture e riordino del territorio, ricerca
ricerca ricerca (fuori e dentro l’Università), formazione e
scuola, nel quadro di una vera politica industriale. Le
risorse, oltre quelle "prenotate" (se ci sono ancora),
debbono venire dal contenimento delle spese che dovrebbe
cominciare dalla abolizione delle province.
Non è un discorso astratto, che sembra
prescindere dal terremoto politico in corso. Urge dare al
Sud una speranza ed un progetto che superi le emergenze
della politica, e che - pur nella drammaticità della crisi
in atto - tracci un percorso "europeo" alla tedesca. Non è
un caso che la Merkel provenga dalla Germania "ricostruita".
A parte la bufala del Partito del Sud, può il Mezzogiorno,
se c’è, battere ora un colpo?
|