Favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo.
 
 
 
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Le finalità della Fondazione

 
La Fondazione si propone di agevolare il formarsi di una cultura dello sviluppo nelle regioni più deboli del paese con particolare riferimento alla regione Sicilia. In questo senso occorre creare azioni sinergiche tra le regioni meridionali finalizzate a realizzare in Sicilia efficienti politiche della formazione, nonché a favorire tutte le forme di partecipazione orientate ad una migliore tutela dei diritti. In questo contesto è importante favorire il dialogo culturale in tutte le sue forme tra i paesi della sponda Nord  e quelli della sponda Sud del Mediterraneo, individuando nella Sicilia il territorio ideale per ubicare iniziative culturali che facciano di essa un vero e proprio hub della conoscenza.
 

Gli impegni
     
 

Nel perseguimento dello scopo istituzionale, la fondazione si impegna a:

a) svolgere ricerche e corsi di formazione che mirino a diffondere la cultura della partecipazione consapevole;
b) promuovere attività editoriali limitatamente allo scopo istituzionale;
c) divulgare le proprie iniziative attraverso i mass media e la rete internet;
d) organizzare in Sicilia convegni e incontri a livello nazionale ed internazionale per facilitare il dialogo tra i popoli del mediterraneo;
e) svolgere indagini finalizzate alla migliore conoscenza delle condizioni di vita dei popoli della regione mediterranea;
f) supportare attraverso la documentazione e la ricerca le attività delle istituzioni impegnate negli ambiti in oggetto;
g) diventare membro di altre organizzazioni e stipulare convenzioni con altre istituzioni

 
     
 
 
   
   


 

L’ANALISI

E intanto la gente comune fa i conti con una realtà di sacrifici ignorati

Nel teatrino della politica sempre più affollato
la campagna d’autunno
la conducono i «pupi»

 
Giuseppe Giarrizzo
 

Dal teatrino di Rimini la Lega (Calderoli, Maroni, Tremonti) ha dato l’avvio formale alla «campagna d’autunno» di una maggioranza allo sbando. E lo ha fatto, in un tono arrogante e deciso, definendo «pregiudizio» le esplicite condanne della Chiesa cattolica ai livelli più alti e declamando «l’orgoglio» per l’opera grande di un governo che l’Europa approva, invidia, imita.

L’Italia di Berlusconi appare d’un subito quella che il suo caudillo voleva che fosse, una santa circondata da angeli e cartigli che scrive la nuova lettera dell’eterna investitura al Partito dell’Amore: e grazie a Marchionne (e alla Marcegaglia) può partire da qui per tutto l’Occidente la «storica» rivoluzione post-capitalistica del mondo del lavoro e della produzione. Era quello di cui c’era, c’è bisogno per la ripresa morale di un Paese cui sono stati imputati a torto errori e ritardi: il grido appassionato di Tremonti ne riassume il momento e l’ispirazione. Sullo stesso piano la sua Grande Manovra e l’impresa di Maroni che sconfigge d’un sol colpo mafia e immigrazione (clandestina): quindi a cascata, le riforme della scuola e della pubblica amministrazione.

Non v’ha migliore introduzione all’invio imminente del Libro bianco del premier che documenterà il divario tra la politica del fare e la politica del parlare.

Non è singolare che, dal lungo show leghista, siano lasciati fuori i pilastri del New Deal del Lago Maggiore:  il federalismo e la giustizia? Le leggi attuative del federalismo fiscale e il finale lavacro del lider maximo dagli schizzi della fanghiglia talebana? Eppure è questo, con il Sud, il terreno che Fini avrebbe scelto per indicare quel modo diverso di fare politica, per cui si chiedono strumenti e metodi nuovi.

Nessuno ha ancora capito cosa il Mezzogiorno sarà chiamato a fare per sé e per il Paese, e cosa il governo si impegna a fare per chiudere alla grande la «storica» questione meridionale. Lombardo e Miccichè, i cofondatori del Partito del Sud, non hanno detto nulla sul dramma presente della Sardegna o sulla Calabria della ’ndrangheta; mentre aspettiamo di capire, chiuso in fase istruttoria il processo a Garibaldi, quale sia il posto assegnato alla identità siciliana (non invidio certo l’assessore Armao) nella intesa/competizione con le identità regionali del resto del Mezzogiorno.

Mi limito a notare la singolarità di un progetto di partito del Sud da parte di chi nega che Sud e questione meridionale esistano ancora come problema politico; o confida nella ridicola apologia dei «nobili» fatti di Reggio del ’70 che ha meritato un’esibizione mediatica a Taormina.

La campagna d’autunno è partita: la Gelmini fronteggia i precari della scuola, Letta «apre» all’Aquila la Perdonanza, Tremonti getta nelle aride gole dei comuni la cassata dei beni in svendita, Alfano annuncia il miracolo del processo breve, e Gheddafi soccorre allo «sviluppo creativo» dell’Italia post-coloniale. Sono gli annunci dei politici, che si eccitano alle incazzature di Napolitano, alla legge elettorale, all’Ulivo 2, persino al Lombardo quater e al «tengo famiglia»: mentre Cota prova le ali di Mercurio per l’incontro «risolutivo» con Fini.

E la gente comune, senza pregiudizio e senza orgoglio? Non ha atteso l’autunno per misurare la realtà delle sue paure: e si attrezza come può alle derive inattese. Dopo il terremoto della «crisi globale » registra la sequela delle minori scosse con la frana dell’indotto, la chiusura delle imprese minori e delle cooperative, il dilagare dell’usura e la contrazione del risparmio privato. Il servizio pubblico (scuola, giustizia, sicurezza, trasporti, sanità) è al collasso e nondimeno cresce la pressione fiscale: v’ha il paradosso dell’acqua che paghiamo anche per la parte che non consumiamo (alla faccia dell’invito al risparmio), v’ha lo scandalo della riclassificazione del consumo del gas (che porta al ricalcolo dal 2009 del già pagato), v’hanno gli adeguamenti delle Tarsu e dei pedaggi senza riferimento ad incrementi corrispettivi del servizio, v’ha il «pactum sceleris» tra  l’Agenzia delle entrate e i titolari dell’esazione, mentre la revisione e l’aggiornamento del catasto procedono per casualità ed accidenti.

L’invettiva contro le regioni «cialtrone» è servita per lasciare nella disponibilità del Tesoro fondi Fas e fondi europei, chè da loro dovranno venire una significativa riduzione delle spese e la standardizzazione dei costi (che vien presentata come il nucleo vero del federalismo fiscale).

Ma non perciò la spesa pubblica appare sotto controllo, o in significativa diminuzione - anche quando si dichiarano nuove entrate, come quelle provenienti dallo Scudo Fiscale o dalla lotta all’evasione.

Com’è noto, i miliardi provenienti dal condono sono andati a poste ben differenti da quelle annunciate, e - per via del sistema premiale - non v’ha distinzione tra l’evasione scoperta e l’evasione saldata, visto che i calcoli correnti non registrano una diminuzione dello scandaloso cumulo.

Persino Barroso, dalla sua palestra del «tempo perso», ha ricordato al governo italiano che c’è un debito pubblico e bisogna fare di più per i conti pubblici. Potete giurarci: dalla campagna d’autunno non trarremo nessuna indicazione del modo (e tempi) di contenimento e/o riduzione del debito; alla bufala del federalismo si opporrà nel fatto l’emergenza di un saldo potere centrale a garanzia del debito. E dovremo anzi all’esistenza del debito la tenuta dell’unità di un Paese destinato allo spezzatino leghista: dopo la beatificazione di Cossiga, toccherà al «cinico» Andreotti il merito riconosciuto di avere salvato l’unità d’Italia.

Guardato dal Sud, questo teatro avrebbe bisogno di Pirandello: Camilleri ne raccoglie le smorfie, laddove Sciascia s’era illuso di dipanarne la corda pazza. Intanto la scena è affollata da «pupi», da un ceto politico, che si applaude e gonfia d’orgoglio per aver vinto partite simboliche di una guerra che non è ancora agli inizi. La lezione è tutta qui: meno stupido orgoglio, e più pregiudizi consapevoli. Ci sarà chi l’ascolti ?

 

La Sicilia del 31/08/2010
 

 
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